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Lo Sciacchetrà è un vino passito, dolce e liquoroso, prodotto nelle Cinque Terre dalle uve dei vitigni Bosco, Albarola e Vermentino.
Se l'origine del nome sembra avvolta nel mistero - per alcuni deriva dal termine semitico "shekar" col quale, nella Palestina di 3.000 anni fa, venivano definite le bevande fermentate, per altri dal verbo dialettale "sciacàa", ossia "schiacciare", utilizzato in questo caso per indicare l'operazione di pigiatura dell'uva - certo è che il pregiato vino è divenuto l'emblema per eccellenza delle Cinque Terre.
Un profumo fruttato, floreale, che ricorda le essenze della macchia mediterranea: sentori di frutta secca, confettura d'albicocca, pesca gialla e vaniglia, miele di castagno e spezie. Un colore caldo e intenso: dal giallo dorato all'ambra, tendente al topazio. Un sapore dolce, ma mai stucchevole, caldo, di buon corpo, vellutato e suadente, ben equilibrato, da una piacevole e lievissima tannicità.
Con una resa media di 25 litri per quintale d'uva - gli acini sono lasciati appassire al sole sino a novembre e vengono poi sgranati a mano per selezionare solo i migliori - e un'elevatissima qualità garantita dalla Denominazione di Origine Controllata (DOC dal 1973 come la tipologia secca), lo Sciacchetrà è un prodotto di nicchia che può evolvere per dieci, venti e anche trent'anni.
Un vino amato da poeti e letterati. Ne parlarono Plinio, Boccaccia e Petrarca. Giosuè Carducci lo descrisse come "l'essenza di tutte le ebbrezze dionisiache", Giovanni Pascoli ne richiese l'invio di poche bottiglie "in nome della letteratura italiana", Gabriele D'annunzio lo descrisse come "profondamente sensuale".
Comprendere fino in fondo un vino come lo Sciacchetrà significa, non solo assaporarne le qualità organolettiche ma anche apprezzarne tutto il bagaglio di conoscenze tradizionali legate alla cultura della terra. Vuol dire bere un vino in grado di ribadire ad ogni sorso una storia che parla del rapporto secolare e talvolta controverso tra l'uomo e la natura.